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Non posso non rilevare che la contrapposizione suono/rumore qui usata sia impropria: il primo (per la Treccani “sensazione uditiva e le vibrazioni di un mezzo (...) che possono produrre tale sensazione”) abbraccia infatti anche il secondo e non gli si oppone. L’alternativa è semmai tra rumore e musica, ma su di essa, com’è noto, nel Novecento è diventato assai arduo decidere. Ciò perché la musica è specificamente una pratica umana e si basa su un progetto organizzativo non “naturale”, ma stipulativo e che può avere per criteri qualificanti cose anche molto diverse tra loro, tra le quali melodia, armonia e ritmo sono solo alcuni dei molti possibili. Nella dodecafonia, per esempio, quei criteri vengono meno (o sono comprimari), sostituiti da un principio organizzativo di tipo logico, che serve sia per la produzione (per i compositori), sia per l’interpretazione dei suoni e il loro accoglimento come “musica” invece che come “rumore” (per gli ascoltatori). Analogamente, nella musica totalmente improvvisata l’elemento qualificante è - tra gli altri - l’intesa, talvolta interamente soggettiva, tra gli esecutori, cosicché - se “risposta” a una “domanda” del partner - il suono dell’archetto sullo spigolo del contrabbasso o quello dell’accartocciamento di un piatto di plastica, da “rumore” diventano “suono musicale”.
In tutti questi casi siamo di fronte a “estetiche normate”, di origine stipulativa umana. La pretesa di fondare in modo oggettivo e sovraumano proprio quella del ritmo e della melodia mi pare, anche alla luce delle recenti riflessioni dell’estetica musicale, non solo (diciamo così) “conservatrice”, ma anche e soprattutto inconsistente. Per due ragioni: la prima è che viola la cosiddetta legge di Hume, traendo un principio normativo da un fatto; la seconda è che spaccia per “fatto” un mero presupposto arbitrario, perché l’esistenza di un “Verbo”, “suono-rumore all’origine del tutto”, è tutta da dimostrare.