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E' vero che una delle affermazioni più forti della Consulenza Filosofica sostiene che “la forma concreta della filosofia è il filosofo” ma tale assunto, proprio per la sua lapidarietà, è anche uno dei punti da mettere bene a fuoco per descrivere la disciplina e ciò che si propone di ottenere. E' uno snodo che richiede un capovolgimento di prospettiva, una conversione che - per dirla con Davide Miccione - sciolga l'identità della filosofia nel concreto filosofare, nell'effettivo esercizio che il consulente fa, in presa diretta, con il suo ospite. Nella Consulenza Filosofica la questione non è se vivo ciò che penso, ma se porto il pensiero in ciò che vivo, prendendo coscienza di chi sono e mettendo in discussione la mia vita. Tale presupposto vale anche per il filosofo: egli viene chiamato in causa, al pari del suo ospite, di fronte alla domanda che parte dalla singolarità di un'esperienza concreta per farvi ritorno, ripensando da capo, non avendolo fatto prima o altrove.
Ecco perché il filosofo è funestato dalla domanda del suo interlocutore: non potendo rispondere in modo generalizzato con teorie già pensate e ritenute coerenti, è costretto ad esporsi, a mettersi alla prova rivolgendo anche a se stesso le domande provenienti dalla vita di quel singolo individuo che gli sta di fronte. Certo che anche il filosofo, come il suo ospite, non è una testa vuota ma ciò che per entrambi avviene nella Consulenza Filosofica, in luogo del “relazionarsi tra soggetti attraverso reciproche pre-comprensioni”, è lo sporgere della vita sulla teoria. Anzi delle vite, da co-protagonisti.