Segnala il commento come inappropriato

Gentile Bruno,
che ne pensa di questa analisi su CL del tradizionalista cattolico Roberto De Mattei?

Perché i difensori più accaniti del Vaticano II, ed oggi i critici più severi di Gnocchi e Palmaro, provengono dall’area culturale di Comunione e Liberazione? Non è difficile rispondere se si ricordano le origini di CL e le radici del pensiero del suo fondatore, don Luigi Giussani.
L’orizzonte ciellino era, ed è rimasto, quello della “nouvelle théologie” progressista. In un celebre articolo apparso nel 1946 dal titolo La nouvelle théologie où va-t-elle, il domenicano Garrigou-Lagrange, uno dei massimi teologi del Novecento, indicava come caratteristica della “nouvelle théologie”, la riduzione della verità ad “esperienza religiosa”.
“La verità – scriveva – non è più la conformità del giudizio con la realtà extramentale (oggettiva) e le sue leggi immutabili, ma la conformità del giudizio con le esigenze dell’azione e della vita umana, che si evolve continuamente. Alla filosofia dell’essere o ontologia si sostituisce la filosofia dell’azione, che definisce la Verità in funzione non più dell’essere, ma dell’azione”.

Ritroviamo questa caratteristica nel linguaggio e nella pratica di molti ciellini. Basti pensare al continuo riferirsi alla fede come “incontro” e “esperienza”, con la conseguente riduzione dei princìpi a meri strumenti. E’ vero infatti che non c’è cristianesimo se non è vissuto, ma non si può vivere una fede che non si conosce, a meno di non ritenere, come il modernismo e la nouvelle théologie, che la fede prorompe dall’esperienza vitale del soggetto. Un’“esperienza” che sarebbe possibile in tutte le religioni e che ridurrebbe il cristianesimo a pseudo-misticismo o a pura prassi morale.
La storica Cristina Siccardi in un altro bel libro appena pubblicato (L’inverno della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. I mutamenti e le cause, Sugarco, Milano 2013) analizza nel dettaglio le conseguenze di questa pastorale dell’“esperienza”, ricordando le parole di un altro grande teologo domenicano del ventesimo secolo, il padre Roger-Thomas Calmel:
“Dottrine, riti, vita interiore sono sottoposti a un processo di liquefazione così radicale e così perfezionato che non permettono più di distinguere tra cattolici e non cattolici. Poiché il sì e il no, il definito e il definitivo sono considerati sorpassati, ci si domanda che cosa impedisca alle religioni non cristiane di far parte anche loro della nuova Chiesa universale, continuamente aggiornata dalle interpretazioni ecumeniche” (Breve apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichtys, Albano Laziale 2007, pp. 10-11).

Parafrasando l’affermazione di Marx, secondo cui è nella prassi che il filosofo dimostra la verità della sua dottrina, potremmo riconoscere nella teologia postconciliare il principio per cui è nella “esperienza religiosa” che il credente dimostra la verità della sua fede. E’, in nuce, il primato della prassi della filosofia secolaristica moderna. Questa filosofia della prassi religiosa fu teorizzata dalle sètte più radicali del Cinquecento e del Seicento, come gli anabattisti e i sociniani. Per essi la fede è misurata dalla sua intensità: ciò che importa non è la purezza e l’integralità della verità in cui si crede, ma l’intensità dell’atto con cui si crede.
La fede ha dunque la sua misura non nella dottrina creduta, ma nella “vita” e nell’azione del credente: essa diviene esperienza religiosa, svincolata da qualsiasi regula fidei oggettiva. Ritroviamo queste tendenze nella teologia progressista che preparò, guidò e, in parte, realizzò il Concilio Vaticano II.

La “nouvelle théologie” progressista ebbe i suoi principali esponenti nel domenicano Marie-Dominique Chenu e nel gesuita Henri de Lubac. Non a caso Chenu fu il maestro di Giuseppe Alberigo e de Lubac, il punto di riferimento dei discepoli di don Giussani. E non a caso, tra i primi testi ufficiali di Comunione e Liberazione, agli inizi degli anni Settanta, risulta lo studio del teologo Giuseppe Ruggieri intitolato La questione di cristianesimo e rivoluzione.
Ruggieri, che allora dirigeva la collana teologica di Jaca Book oggi dirige “Cristianesimo nella storia” ed è, con Alberto Melloni, l’esponente di punta della “scuola di Bologna”.
Non c’è incoerenza nel suo itinerario intellettuale, presentato dallo stesso Melloni nel volume Tutto è grazia (Jaca Book, Milano 2010), così come non c’è incoerenza nelle posizioni di ieri e di oggi di alcuni (non tutti) esponenti di Comunione e Liberazione.
Ciò che accomuna la teologia di CL a quella della scuola di Bologna è la “teoria dell’evento”, il primato della prassi sulla dottrina, dell’esperienza sulla verità, che CL situa nell’incontro con la persona di Cristo e la scuola di Bologna nell’incontro con la storia.
Giuseppe Ruggieri fu il teologo di Comunione e Liberazione ed è oggi il teologo della scuola di Bologna. E oggi ciellini e bolognesi si ritrovano nel demonizzare in Gnocchi e Palmaro, non i critici di papa Francesco o del Vaticano II, ma i cristiani “eticisti” che ripropongono il primato della Verità e della Legge.