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Rispondo ad Antonio. L'allontanamento dal dio nostrano, quello presente qui e ora nella carne, il prendere distanza dall'autorità di uomini che lo rappresentano, mi ha forse permesso di non soccombere, ma non mi ha liberato dai guai. Dopo l'allontanamento mi sono ritrovato a cercar ancora risposta a chi sono, al perché sono, al senso del dolore e della finitudine e senza più un creatore al quale potessi dire "Tu" le cose si sono complicate. Nel tentar di trovare una via uscita dalla sgradevole condizione ho visitato filosofie lontane. Dei stranieri direbbe il vecchio testamento. Alcuni offrivano soluzioni infantili, altri sofisticate, ma alla fine sono stati percorsi artificiosi. Per un indiano l'induismo è esperienza, ma per un italiano come me la proposta si riduce ad un ricetta per la vita, ad un percorso intellettuale. Si avverte un sottofondo di artificio che mal risponde alla domanda di senso. Antonio, la gabbia che mi imprigiona è la condizione umana, più precisamente è l'avvertire nell'intimo un istinto d'eternità pur sapendo che dovrò morire. Qualcuno nobilita questa sensibilità: "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Non lo so. Non tutti avvertono questa urgenza di senso, dell'Oltre e del Destino e così vivono il presente in semplicità e forse li invidio un po'. Se hai tempo e interesse leggi il memoriale, nell'ultima parte mi attardo esaurientemente su quanto mi chiedi. A presto. Bruno