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"Manfredi",
il suo intervento, in tre puntate, è nel metodo una boutade:
arriva, legge il racconto "Memorie di un ex monaco" come se esaminasse una cartella clinica; equivoca l'Autore col protagonista della storia; lo giudica impostore, diagnostica una malattia cronica in atto, prescrive O'Connor, Chesterton e Lewis, poi come in un film di Sergio Leone, sparisce anonimo (non per me dottore che la conosco e talvolta leggo con profitto) in un addio.

Prendo atto della sua cattiva opinione della parodia, essendo noi menti sane conosciamo quanto l'emanciparsi, occasionale e circoscritto, da realismo e logica esiga intelligenza.

Ansia apologetica la costringe, malgrado l'intermittente lucidità di pensiero, a confusione di giudizio anche nel merito delle "Memorie" che interpreta "espressione di palese ridicolaggine personale" e nel contempo di "Miti antichi" collettivi; che giudica scritte da "una mente fragile alla quale non dare retta" mentre si attarda nottetempo a leggerle per rispondere con urgenza all'aurora; faccia un po' lei.

La notte serve per dormire, sognare è cosa seria, nel frattempo se proprio non riesce a riposare confidi meno negli aggettivi e anche negli avverbi, anche il figurativo va usato con parsimonia; servono a poco nel dire e nel comprendere, ancor meno nel vivere: se il protagonista è "un coglione" ne consegue che "il Vecchio", oltre ad essere tossico come lei ha diagnosticato è pure ciarlatano, ma quella di connivenze psicoanalitiche di coglionazzi che ingannano coglioncelli è la storia di Vanna Marchi non questa; altri personaggi, altro stile.